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Viaggio trasversale in una terra misconosciuta

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“Lamagara” a Catanzaro: se l’ultima strega fosse l’ emblema di una città che rinasce?

Storie spesso sconosciute, quelle di Calabria, intrise di mistero e suggestione, che meritano di essere raccontate per permetterci di ritrovare la nostra identità collettiva e l’importanza delle nostre radici, l’unica via per il riscatto della nostra terra.

Elevare Cecilia Faragò a simbolo di forza, coraggio, autenticità, energia e attaccamento ai valori più puri della cultura popolare di Calabria, in un giorno di riflessione sulla condizione della donna, è stata a mio avviso una scelta più che mai vincente, che porta i calabresi a posare lo sguardo sulla propria storia e su quei personaggi che, pur non essendo alla ribalta di uno scenario sempre più globalizzato, hanno saputo sfidare le regole di una società fatta di pregiudizi, cambiando il corso della storia.

Il fortunato monologo teatrale “Lamagara”, interpretato da Emanuela Bianchi e scritto dalla stessa attrice e antropologa insieme ad Emilio Suraci, vincitore nel 2104, del premio della critica“Gaiaitalia.com” al Fringe Festival di Roma, si è rivelato un’alternativa di spessore a quanto di consueto viene proposto nella giornata dell’8 marzo.  

Il merito di questa scelta va al collettivo che anima il progetto ZTL (Zona Transitoriamente Libera), nato per promuovere un percorso di rinascita e riappropriazione delle aree urbane della città di Catanzaro, mediante iniziative culturali e di intrattenimento. Un percorso che ha il sapore di una sfida, lanciata ad una città che, a dirla tutta, pare rispondere abbastanza bene.

Lo spettacolo di Confine Incerto, infatti, proposto al Nuovo Supercinema alle 20.30 e in replica alle 22.00 piace, incuriosisce ed emoziona.

Quella di Cecilia Faragò, è una storia che ha affascinato vari scrittori ed artisti ( di recente è stata anche girata una pellicola ispirata a questa vicenda). Il testo di Bianchi e Suraci è stato ripreso dal volume “L’ultima fattucchiera”, di Mario Casaburi, (edito da Rubbettino), nel quale viene riportato l’epistolario del giovane avvocato Giuseppe Raffaelli, che difese la Faragò dalla falsa accusa di stregoneria. Una documentazione grazie alla quale  Emi Bianchi riesce a costruire il profilo di Cecilia Faragò e a restituirlo in chiave artistica mediante una straordinaria interpretazione.

I fatti narrati si svolsero nel XVIII secolo tra Zagarise, che diede i natali alla donna e Simeri Crichi, dove visse da sposata. A conferire complessità e pathos alla vicenda, contribuisce il contesto storico sociale in cui essa si svolse, dominato da un distorto sentimento di religiosità che pervadeva le menti della gente dell’epoca, generando timore, ipocrisia, sottomissione e fatalismo. Fattori che finivano per alimentare la spietata avidità del clero. Era l’epoca dell’Inquisizione, quando chiunque intralciasse la chiesa nel suo cammino di conquista di potere e ricchezze veniva eliminato.

Cecilia, donna forte, indipendente, legata alle sue radici ed animata da un grande amore per la sua famiglia, viveva in un’epoca in cui le donne erano considerate inferiori all’uomo e senza diritti, ma con il dovere di adeguare la propria esistenza a rigidi schemi. Quando il destino le strappò via prima il marito e subito dopo il figlio, Cecilia divenne fragile ed esposta alle violente e meschine sopraffazioni di chi volle accusarla ingiustamente per appropriarsi dei suoi beni.

Lei, che amava cantare nei boschi e conosceva le proprietà curative delle erbe, fu accusata di stregoneria e di omicidio ed arrestata sulla base di prove fittizie ed assurde congetture.

Fu la caparbietà del giovanissimo avvocato catanzarese Giuseppe Raffaelli, a salvarla dal suo destino. Egli , appena ventenne, fu certo nell’innocenza della donna e la fece assolvere, annullando tutte le prove fittizie presentate dall’accusa.

Il processo fece tanto scalpore da persuadere re Ferdinando IV ad abolire il reato di “Maleficium” nel suo regno.

Cecilia Faragò fu la protagonista dell’ultimo processo per stregoneria del Regno delle due Sicilie e quell’evento storico si svolse nella sede della Regia Udienza di Catanzaro.

Lo spettacolo descrive abilmente le caratteristiche del contesto in cui si svolsero i fatti, restituendolo attraverso le parole e i gesti della protagonista. Abilmente, Emi Bianchi, che fa suo lo spirito battagliero di Cecilia Faragò e la sua saggezza, il suo sgomento di fronte all’ipocrisia di chi bussava alla sua porta chiedendo i suoi servigi e poi non esitò a puntarle il dito contro.

Nenie nella lingua dei nostri nonni e immagini di vita familiare intrise di un’antica tenerezza, il fatalismo contro il coraggio e la smania di infrangere i dettami di una cultura in cui religione è spesso sinonimo di servilismo. Questi alcuni degli “ingredienti” di uno spettacolo affascinante e profondo che riesce a superare la sua stessa natura di monologo teatrale per la grande dinamicità che l’attrice sa donare alla scena, senza mai annoiare, calandosi nei panni di vari personaggi e anche grazie all’introduzione dell’uso scenico degli elastici, un momento performativo che contribuisce ad esternare meglio lo stato di disagio e sofferenza interiore del personaggio. (Foto di Marzia Lucente)

Angela Rubino

“Non cali il sipario sul dialetto”: a teatro per ritrovare le proprie radici

Il dialetto rappresenta un retaggio culturale che lega una comunità alla sua storia.

Considerato comunemente una sorta di degenerazione della lingua madre, esso tende ad essere sottovalutato e messo da parte, a favore di termini appartenenti a lingue straniere, che irrompono sempre di più nel nostro linguaggio e soprattutto in quello dei giovani.

È per questo che l’associazione CulturAttiva ha deciso di proporre l’evento “Non cali il sipario sul dialetto”, un’iniziativa mirata a mettere in luce l’importanza della lingua popolare, che si svolgerà a partire dalle 18.00, nel pomeriggio del 26 dicembre, nelle sale del Cinema Teatro Comunale, a Catanzaro grazie alla collaborazione con l’associazione “Incanto”, perché uno degli strumenti più potenti per preservare il dialetto è proprio quello del teatro in vernacolo. A questo proposito, verrà richiamata l’attenzione su una delle figure più amate dai catanzaresi, che ha saputo lasciare nel cuore dei suoi concittadini una traccia profonda, per la sua umanità oltre che per le sue doti artistiche: Nino Gemelli, attore e commediografo di grande talento e sensibilità.

All’evento prenderanno parte Francesco Passafaro, attore e direttore artistico del Cinema Teatro Comunale e Angela Rubino, presidente di CulturAttiva, giornalista ed esperta di storia locale.

Sarà uno spazio breve ma intenso: si cercherà di far conoscere meglio le caratteristiche del dialetto catanzarese, idioma particolare, che si distingue dal resto dei dialetti parlati nella nostra regione anche per i trascorsi storici che interessarono la città di Catanzaro e le varie dominazioni che vi si susseguirono, lasciando una traccia profonda nei suoni e nei modi di dire propri della parlata popolare dei catanzaresi. L’intervento sarà curato da Angela Rubino, mentre a Francesco Passafaro, padrone di casa, andrà il compito di delineare la figura del grande Nino Gemelli.

Lo spazio di approfondimento si svolgerà nel momento di pausa tra le due rappresentazioni della commedia di Nino Gemelli “Turuzzu & Luvìcia”, la cui visione offrirà divertenti spunti pratici, rispetto a quello che verrà detto durante gli interventi, riprendendo gesti e modi di dire propri della nostra cultura popolare, senza tralasciare quel tocco di profonda umanità, proprio del teatro di Gemelli, il quale attraverso i suoi personaggi, sa cogliere l’essenza profonda della nostra cultura, non solo attraverso la rappresentazione della lingua e della gestualità, ma anche attraverso quella del loro animo, sempre rivolto a quel senso di fratellanza e sostegno reciproco che da sempre contraddistingue non solo i catanzaresi, ma i meridionali in generale.

 

La seta e la suggestione della sua eccellenza raccontata e vissuta con un laboratorio di teatro sensoriale

Il mio meraviglioso percorso di collaborazione con la Cooperativa Nido di Seta, che a San Floro, piccolo paese dell’hinterland catanzarese, ha ripreso l’antica arte della lavorazione della seta, mediante l’intera filiera che va dalla gelsi bachicoltura alla realizzazione di preziosi manufatti tessuti e colorati con tecniche tradizionali, prosegue e matura di anno in anno. La nascita della mia associazione “CulturAttiva”, che si propone di diffondere la conoscenza della storia e della cultura locale mediante iniziative che raccontino il territorio da vari punti di vista e con diversi linguaggi, ha fatto si che anche il progetto didattico “Baco da seta”, realizzato insieme ai ragazzi di San Floro, si arricchisse di nuovi spunti per affascinare e coinvolgere sempre di più i piccoli destinatari dell’iniziativa.

Il progetto didattico “Baco da seta”, che sta per partire nella sua “edizione 2017”, nasce già alcuni anni fa ad opera della Cooperativa “Nido di seta” ed il suo fine è quello di diffondere la conoscenza della storia locale e, nello specifico, dell’antica arte della seta. Per sottolineare maggiormente l’immenso valore che questa attività ebbe per Catanzaro, soprattutto nel periodo compreso tra il 1300 e il 1700 circa, quando essa costituì la principale fonte di benessere economico per l’intero territorio, si è pensato di creare un itinerario che conducesse i ragazzi nell’antica città della seta, riproponendo simbolicamente ai visitatori lo stesso percorso che la seta svolgeva in passato. Così è nata la collaborazione con la Cooperativa rispetto a questo importante progetto.

Il punto di partenza di questo straordinario viaggio nelle nostre radici è San Floro dove oggi, proprio come accadeva in passato, si produce la seta greggia, si alleva il baco e si coltiva il gelso. Qui, con la preziosa guida di Domenico Vivino, Giovanna Bagnato e Miriam Pugliese, i ragazzi visitano il suggestivo Museo didattico della seta, per poi immergersi in una suggestiva cornice rurale, visitando l’immenso gelseto e l’allevamento dei bachi per poi scoprire come avviene il magico processo della trattura della seta. Dopo pranzo il percorso prosegue alla volta della “città della seta”, ovvero il luogo dove un tempo convergeva il prezioso filato per essere tessuto nelle numerose filande cittadine. Qui io conduco i ragazzi lungo i vicoletti angusti del cuore antico della città, raccontando loro di quando genti greche diedero vita alla città e vi portarono i loro usi e costumi, tra i quali la nobilissima arte della seta. Quest’anno il racconto verrà avvolto dal mistero in quanto, a tratti, si farà viva una donna sconosciuta che narrerà vicende della sua vita legate alla magia della seta. La sua presenza si farà sempre più incisiva, culminando nella suggestiva esperienza del laboratorio sensoriale “Dal baco alla trama”.

La grande novità di quest’anno si riallaccia, infatti, al lavoro di una grande artista, l’attrice Emanuela Bianchi, straordinaria interprete del fortunato monologo teatrale “Lamagara”. Ciò che collega il suo lavoro a quello di “CulturAttiva” e “Nido di Seta” è la volontà di raccontare la storia di una terra millenaria e misconosciuta, le cui eccellenze sono state per secoli taciute o sminuite.

Al fine di lasciare una traccia indelebile nella memoria dei ragazzi che prenderanno parte al progetto, si è pensato di proporre loro un  laboratorio di teatro interattivo e sensoriale. «L’esperienza sensoriale – spiega l’attrice – è una forma di teatro contemporaneo che prende avvio dall’idea che il gioco sia lo strumento ideale non solo per sviluppare la creatività, ma anche per garantire una modalità di apprendimento più veloce e diretta. Il percorso sensoriale si avvale dell’uso della vista, dell’udito, dell’olfatto, del tatto e del gusto per realizzare drammaturgie attive ed interattive e rendere protagonisti attivi coloro che solitamente sono considerati solo spettatori passivi».

Durante il laboratorio, dunque, i ragazzi diverranno parte attiva nelle diverse fasi della lavorazione del prezioso filato: alcuni diverranno piccoli bachi da seta, alcuni saranno contadini artigiani, altri orditori e altri ancora tramatori. «Il tessuto che essi creeranno – spiega la Bianchi – rappresenta l’insieme di relazioni tra uomo e natura e tra gli uomini della stessa comunità. Senza relazioni e senza cura delle relazioni nessun disegno può essere realizzato».

Il progetto didattico “Baco da seta” è un esempio tangibile di come lavorando insieme, ognuno con la propria professionalità, sia possibile realizzare delle iniziative fondate sulla valorizzazione della nostra storia, un immenso bacino di leggende, di eccellenze, racconti, tradizioni le cui tracce sono ancora incise nel nostro presente e la cui eco chiede solo di venire alla luce per realizzare quel tanto atteso cammino di rinascita della nostra terra.

Angela Rubino

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