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Viaggio trasversale in una terra misconosciuta

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“I Maccaturi”: quando arte, storia e folclore di Calabria affascinano ed ispirano artisti da tutto il mondo

 

L’ho chiamato “Contaminazioni” il mio contributo ad un progetto artistico coinvolgente ed emozionante, che affonda le sue radici nell’attaccamento alla terra di Calabria, ad un focolare fatto di affetti sinceri, di profumi, di atmosfere che segnano l’anima e da essa rinascono, in forma di ispirazione artistica. Il progetto si chiama “I Maccaturi” ed è stato promosso da Adele lo Feudo, pittrice e performer di origine calabra, residente a Perugia e da Gianni Termine, fotografo, anch’egli calabrese; entrambi portano la Calabria e i suoi scenari nel cuore e un bel giorno decidono di mettere in pratica ciascuno la propria arte, per creare qualcosa di unico. Il progetto consiste in una mostra e in un volume che da essa è scaturito. L’esposizione è composta da oltre 150 opere ed ha coinvolto circa 107 artisti provenienti da tutto il mondo.

L’idea è partita quando Gianni decide di donare ad Adele alcune sue foto. Lei, colta dall’ispirazione, le riproduce e le reinterpreta su dei pezzi di tessuto di seta grezza (forniti dalla Cooperativa “Nido di Seta”, che opera a San Floro e ha ripreso la filiera della gelsi bachicoltura), creando un racconto fatto di immagini, il cui epilogo è un richiamo alla speranza, legato al ricordo indelebile della propria terra e ai suoi affetti più cari.

Alla rete va il merito di aver diffuso abbondantemente la notizia di questa idea e ancora una volta Facebook diviene il mezzo attraverso il quale si crea una rete di centinaia di artisti che decidono di  aderire all’iniziativa, realizzando un proprio “maccaturo”, ognuno con la propria tecnica.

Il progetto scaturito da questo piccolo seme iniziale ha dato vita ad una mostra itinerante, che è partita da Catanzaro, dove è stata ospitata presso la deliziosa sede dell’associazione Mo.d’à e proseguirà in Calabria, toccando Cosenza e altre cittadine del comprensorio.  A fare gli onori di casa nel capoluogo la presidente Antonella Gentile, che ha curato l’organizzazione dell’evento. Durante la serata, la storia dei due artisti ideatori dell’iniziativa, introdotti dal critico d’arte Alessandra Primicerio; la lettura di una poesia dialettale; le parole di Adele e Gianni e poi l’intervento di Miriam Pugliese e Domenico Vivino, di “Nido di Seta”, che hanno eseguito la trattura del prezioso filato dal vivo, facendo rivivere un processo che per secoli ha segnato la vita dei calabresi; ha sintetizzato l’essenza della terra di Calabria, creando un magico connubio tra presente e passato.

L’eco dei profumi, delle atmosfere, delle voci, dei suoni della nostra infanzia in questa terra dell’estremo sud, rivive anche nei termini del nostro dialetto, che riportano in superficie antiche emozioni, spesso legate a chi non c’è più. Come Adele, anche io resto legata al pensiero di un grande affetto che mi lega a mia nonna, ai gesti abitudinari del suo vivere quotidiano, nel quale il “maccaturo” trovava quasi sempre una collocazione materiale, oltre che lessicale.

Il termine “maccaturo”, significa fazzoletto ed era molto utilizzato nel dialetto calabrese arcaico. Esso deriva dal catalano “mocador” ed è legato al latino “muccus” (muco). Oltre a soffiarsi il naso, esso era utilizzato come accessorio in molte occasioni, arrivando ad assumere la funzione di simbolo in varie situazioni.

Esso copriva il capo delle donne che andavano in campagna o in chiesa la domenica ed era nero quando simbolizzava lutto. Gli uomini asciugavano, con il loro maccaturo, il sudore delle dure giornate di lavoro nei campi o ne usavano uno abbastanza grande per avvolgere e contenere il pranzo da consumare durante la pausa.

Il maccaturo di colore azzurro si sventolava al porto, per salutare i propri cari che partivano per terre lontane in cerca di fortuna.

Al colore era legata la forte simbologia di un accessorio intimamente collegato al floclore della nostra terra e alle varie situazioni che scandivano i momenti di vita dei nostri avi.

Il bianco caratterizzava il momento del matrimonio, ma era anche legato ad usi casalinghi e proteggeva in caso di malattie. Poi, il rosso con tutte le sfumature di colore, fino al marrone chiaro, simbolizzava disponibilità nelle ragazze in cerca di marito. Al contrario, quelle già “impegnate” indossavano un fazzoletto di colore bianco sporco o grigio chiaro.

Il maccaturo di colore blu con le sue sfumature si usava per comunicare qualcosa o dare una risposta, mentre al verde era attribuita la simbologia della speranza.

Infine, quello di colore marrone era legato alla devozione per la Madonna del Carmine e si indossava il mercoledì, il giorno della novena e in occasione della festa del Carmine, abbinando un abito dello stesso colore.

Il progetto “I Maccaturi” ha una grande valenza non solo artistica, ma storica e antropologica. Esso ha saputo donare una connotazione artistica ad uno degli elementi chiave della storia del costume tradizionale e del folcolore calabrese, rendendolo strumento di libera espressione da parte di più di un centinaio di artisti, che, con le loro opere, hanno rivisitato un pezzo di storia della Calabria.

Inoltre va evidenziato il significato della scelta dell’artista Adele Lo Feudo, di dipingere sulla seta, tessuto preziosissimo e simbolo chiave della vita quotidiana dei calabresi, che ne fecero per alcuni periodi l’elemento principale del loro benessere economico.

La scelta inconsapevole del titolo “Contaminazioni”, per la mia opera si è rivelata quindi azzeccata. Dipinto su lino (un’altra fibra che veniva prodotta e tessuta dai contadini calabresi), con la sua mescolanza di materiali e colori, può essere visto come simbolo di questa meravigliosa commistione tra arte, storia, cultura che si esprime in chiave individuale, mettendo a confronto tecniche e anime diverse, ma affini per sensibilità.

Angela Rubino       

 

La seta: un meraviglioso viaggio alla scoperta delle nostre radici

Siamo noi, oggi i custodi della memoria del nostro lontano passato e a noi va il compito di veicolare i valori autentici e puri che animavano quelle pratiche ancestrali così radicate nel tessuto economico e sociale, fino a divenire parte importante della vita quotidiana di intere comunità. Come l’arte della seta che, con la sua filiera, dalla gelsi bachicoltura, alla trattura, fino ad arrivare alla tessitura, segnò per secoli l’ordinario percorso di vita dei calabresi, trovando in Catanzaro quel punto di massimo sviluppo in un determinato periodo storico.

Come si può gettare nell’oblio qualcosa di così prezioso come la memoria di ciò che eravamo?

Ecco perché in questi giorni, fino alla chiusura del corrente anno scolastico, nel catanzarese si è deciso di unire le forze e rendere i giovani partecipi di questi antichi saperi. Si tratta del progetto didattico “Baco da seta”, che da anni ormai si svolge all’interno della Cooperativa “Nido di seta” di San Floro e che quest’anno si è   si è arricchito grazie alla mia collaborazione in quanto esperta dell’arte serica a Catanzaro, e autrice del saggio “La seta a Catanzaro e Lione” e il Mudas (Museo Diocesano di Arte Sacra) di Catanzaro. L’intento è quello di diffondere la conoscenza della storia locale e, nello specifico dell’antica arte della seta, sottolineando l’immenso valore che questa attività ebbe per Catanzaro e per il suo hinterland soprattutto nel periodo compreso tra il 1300 e il 1700 circa, quando essa costituì la principale fonte di benessere economico per l’intera area.  

Grazie alla squisita manifattura dei suoi tessuti in seta, la città dei tre colli divenne rinomata in tutta Europa, guadagnandosi l’appellativo di “capitale europea della seta”.

Quest’anno, i ragazzi  che hanno scelto di partecipare al meraviglioso viaggio alla riscoperta di questo eccezionale passato, sono circa un migliaio e si conta di coinvolgerne almeno altrettanti fino alla chiusura di questo anno scolastico. Straordinario è l’entusiasmo con cui studenti e insegnanti si approcciano alla conoscenza dei vari aspetti dell’attività serica: dall’allevamento dei bachi, alla trattura, passando per la storia del legame tra Catanzaro e quest’arte nobile e antica e i meccanismi della tessitura.

Il progetto didattico, che si propone di coinvolgere i partecipanti, rendendoli protagonisti di un’esperienza unica e non solo semplici osservatori, è pensato in modo da riproporre simbolicamente ai visitatori lo stesso percorso che la seta svolgeva in passato.

Si parte dall’hinterland, quindi da San Floro dove oggi, proprio come accadeva in passato, si produce la seta greggia e si coltiva il gelso. Qui, con la preziosa guida di Domenico Vivino, Giovanna Bagnato e Miriam Pugliese, i ragazzi visitano il suggestivo Museo didattico della seta, dove sono custoditi vari cimeli dell’antica arte serica, alcuni preziosi manufatti e dove è presente anche la nuova sezione “Seta dal mondo”. Sempre all’interno della Cooperativa, in una suggestiva cornice rurale, si svolge la visita all’immenso gelseto, all’allevamento dei bachi e si scopre come avviene il magico processo della trattura della seta. Dopo pranzo il percorso prosegue alla volta della “città della seta”, ovvero il luogo dove un tempo convergeva il prezioso filato per essere tessuto nelle numerose filande cittadine.

Qui io illustro ai ragazzi il profondo legame tra Catanzaro e la seta, conducendoli alla scoperta di alcuni dei numerosi luoghi della città, che rivelano i segnali di questo rapporto ancestrale. Passando dal rione Grecìa e dai vicoli Gelso Bianco, alla Giudecca, al Vico delle Onde, al quartiere Filanda, in città sono molti i toponimi che raccontano la storia della “nobil arte”, molti sono quei segni che, nonostante l’incuria, non sono stati ancora cancellati e sono ancora prova tangibile della grandezza di una città che sa destare grande fascino e sa stupire i suoi visitatori.

L’ultima tappa del viaggio è il Mudas, dove l’esperta Antonella Rotundo, guida gli studenti alla conoscenza dei meccanismi della tessitura, illustrandoli mediante l’uso di un piccolo telaio da tavolo e poi rendendo i piccoli visitatori parte attiva degli stessi, con un originalissimo laboratorio, il “telaio umano”, che sta riscuotendo un enorme successo non solo presso gli studenti, ma anche presso le loro insegnanti. Infine, i piccoli visitatori vengono sapientemente introdotti alla scoperta del “prodotto finito”, ovvero i meravigliosi manufatti di grande pregio custoditi all’interno della struttura, testimonianze tangibili del profondo legame tra l’arte serica e il sistema clericale, non solo nei termini meramente artistici, ma anche storico- antropologici.

Oggi, nell’era della globalizzazione, è indispensabile ritrovare le nostre radici e acquisire la consapevolezza della nostra identità storico- culturale. Poi c’è la contaminazione, se vogliamo, con quello che di più buono le altre culture sanno offrire.

Angela Rubino

“Nicò bijoux”, quando arte e tradizione si fondono [English version below]

La Calabria, fu sotto il dominio bizantino anche dopo il crollo dell’impero romano d’occidente, nel 500. Questo popolo lasciò un’eredità profonda nella nostra regione, così come nelle altre aree su cui mantenne il proprio dominio. Una delle tracce della civiltà bizantina è l’arte della seta, un’attività profondamente legata all’identità storico-culturale dei calabresi.

La Calabria fu una delle prime regioni in cui fu introdotta la lavorazione della seta nel VI secolo ed essa si sviluppò al punto da fare concorrenza alla Siria e alla capitale Costantinopoli.

Ha origini bizantine anche la lavorazione della ceramica con l’ingobbio, una particolare tecnica “decorativa” a graffio, con cui viene ornata.

Voglio mostrarvi un video che parla della magica fusione tra queste due arti che affondano le loro radici nel passato millenario della Calabria bizantina. “Nicò” è una collezione di gioielli che fonde l’eleganza della seta con la storia della ceramica e nasce dalla collaborazione tra “Nido di Seta” e Decò art. I bijoux firmati Nicò sono rigorosamente eseguiti a mano secondo un processo che va dall’allevamento dei bachi alla trattura della seta, dalla sua torcitura alla sua tintura. Le perle di ceramica sono create, dipinte e decorate a mano, una per una.
I gioielli sono acquistabili presso l’atelier del Museo della Seta di San Floro e nella bottega Decò art di Squillace. Si effettuano anche vendite on line e spedizioni in tutto il mondo.

La nascita dei gioielli Nicò è uno splendido esempio di fusione tra esperienze diverse accomunate dal filo della tradizione storica.

Un processo che potrebbe essere alla base di un cammino di valorizzazione dell’immenso patrimonio culturale di questa terra. Cammino che, accompagnato dalla presa di coscienza della collettività, deve partire dal basso.

 

 “Nicò jewels”, when art and tradition combine

Calabria was part of the byzantine kingdom also after the collapse of the roman empire. This people left a deep heritage in our region, such as in the other areas under its domination. One of the evidences of the byzantine civilization is the art of silk, an activity deeply related to the historic, cultural identity of calabrians.

Calabria was one of the first regions where silk working was introduced, in VI century and it developed enough to compete with Siria and with the capital Constantinople.

Even the ceramic working has byzantine origins and so is for engobes, a particular “decorative” scraping technique, it is adorned with.

I want to show you a video about the magic fusion between two arts wich belong to the millenarian past of byzantine Calabria.

“Nicò” is a collection of jewels that combines the silk elegance with the history of ceramic and it is born from the collaboration between “Nido di seta” and “Decò art”. Nicò jewels are handmade with a process that goes from the silk worms growing to the reeling of silk; from its twisting to the dyeing. Ceramic pearls are handmade, hand-painted and hand-decorated.

This jewels are sold in the atelier of the San Floro Silk Museums and in the Decò art shop in Squillace. They are also sold on line and can be sent all around the world.

The creation of these jewels i san amazing example of fusion among different experiences which have in common the thread of historical tradition.

This is a process that could be the basis of a route of valorization of the huge cultural heritage of this land. A way that should be accompanied by a general acknowledge and should start from the bottom up.

Angela Rubino 

 

 

 

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