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Viaggio trasversale in una terra misconosciuta

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“Non cali il sipario sul dialetto”: a teatro per ritrovare le proprie radici

Il dialetto rappresenta un retaggio culturale che lega una comunità alla sua storia.

Considerato comunemente una sorta di degenerazione della lingua madre, esso tende ad essere sottovalutato e messo da parte, a favore di termini appartenenti a lingue straniere, che irrompono sempre di più nel nostro linguaggio e soprattutto in quello dei giovani.

È per questo che l’associazione CulturAttiva ha deciso di proporre l’evento “Non cali il sipario sul dialetto”, un’iniziativa mirata a mettere in luce l’importanza della lingua popolare, che si svolgerà a partire dalle 18.00, nel pomeriggio del 26 dicembre, nelle sale del Cinema Teatro Comunale, a Catanzaro grazie alla collaborazione con l’associazione “Incanto”, perché uno degli strumenti più potenti per preservare il dialetto è proprio quello del teatro in vernacolo. A questo proposito, verrà richiamata l’attenzione su una delle figure più amate dai catanzaresi, che ha saputo lasciare nel cuore dei suoi concittadini una traccia profonda, per la sua umanità oltre che per le sue doti artistiche: Nino Gemelli, attore e commediografo di grande talento e sensibilità.

All’evento prenderanno parte Francesco Passafaro, attore e direttore artistico del Cinema Teatro Comunale e Angela Rubino, presidente di CulturAttiva, giornalista ed esperta di storia locale.

Sarà uno spazio breve ma intenso: si cercherà di far conoscere meglio le caratteristiche del dialetto catanzarese, idioma particolare, che si distingue dal resto dei dialetti parlati nella nostra regione anche per i trascorsi storici che interessarono la città di Catanzaro e le varie dominazioni che vi si susseguirono, lasciando una traccia profonda nei suoni e nei modi di dire propri della parlata popolare dei catanzaresi. L’intervento sarà curato da Angela Rubino, mentre a Francesco Passafaro, padrone di casa, andrà il compito di delineare la figura del grande Nino Gemelli.

Lo spazio di approfondimento si svolgerà nel momento di pausa tra le due rappresentazioni della commedia di Nino Gemelli “Turuzzu & Luvìcia”, la cui visione offrirà divertenti spunti pratici, rispetto a quello che verrà detto durante gli interventi, riprendendo gesti e modi di dire propri della nostra cultura popolare, senza tralasciare quel tocco di profonda umanità, proprio del teatro di Gemelli, il quale attraverso i suoi personaggi, sa cogliere l’essenza profonda della nostra cultura, non solo attraverso la rappresentazione della lingua e della gestualità, ma anche attraverso quella del loro animo, sempre rivolto a quel senso di fratellanza e sostegno reciproco che da sempre contraddistingue non solo i catanzaresi, ma i meridionali in generale.

 

Con i racconti della “Route 106” termina con successo la rassegna “Rivelazioni Calabre”

Ieri, sabato 28 gennaio si è chiusa la rassegna culturale dal titolo “Rivelazioni Calabre”, realizzata nella suggestiva cornice del Museo Marca dalle associazioni “CulturAttiva” e “Terre Ioniche” con il sostegno della Provincia di Catanzaro e della Fondazione Rocco Guglielmo. L’evento, partito sabato 21 gennaio, si componeva di una mostra fotografica sui borghi della Calabria ionica intitolata “Il borgo, sulla traccia della nostra storia” , con le immagini scattate da Nicola Romeo Arena e Anna Rotundo e di vari eventi collaterali: il monologo teatrale “Dietro il sud”, scritto ed interpretato da Emanuela Bianchi; gli interventi di tre associazioni (Ra.Gi. Onlus, “Riviera e borghi degli angeli” e “Route 106”); le presentazioni di tre volumi (“Orme dimenticate” di Silvana Franco, “Alimentazione e cibo nella Calabria popolare” di Luigi Elia e “La seta a Catanzaro e Lione” di Angela Rubino), svolte con la partecipazione di Salvatore Mongiardo e Miriam Pugliese della Cooperativa “Nido di seta” e lo svolgimento delle passeggiate a tema “Sul filo delle vie della seta”, un breve itinerario, curato da “CulturAttiva”, che ha condotto i visitatori alla scoperta dei segni della nobile arte della seta nel centro storico di Catanzaro.

A suggellare la rassegna, l’intervento di Patrizia Gallelli, Mariangela Rotundo e Carmela Bilotto dell’associazione “Route 106”, che hanno raccontato la storia di una passione smisurata per la terra di Calabria e la voglia incontenibile di diffondere la conoscenza della sua bellezza. Nasce così il sito internet dell’associazione, con uno spazio dedicato ad un blog dove tutto viene narrato con estrema semplicità. Vengono raccontate le calde atmosfere della nostra terra e viene anche denunciato lo stato di abbandono in cui versano le tracce della nostra storia. Poi nascono le esperienze offerte ai visitatori che, attraverso iniziative di trekking urbano, vengono condotti nei borghi storici ricchi di atmosfere, paesaggi, monumenti, sapori e tradizioni che li rendono unici e indimenticabili. La “Route 106” ha anche messo in atto delle collaborazioni con realtà simili presenti sul territorio regionale, in modo da rendere l’azione più incisiva ed allargare il proprio raggio di azione. La denominazione dell’associazione è legata alla statale ionica 106, una strada tristemente nota e nello stesso tempo quella che può condurre, attraverso borghi, fiumare e coste, alla riscoperta della Calabria. «Il nostro intento – spiegano le ragazze – è quello di superare, tramite l’esperienza del viaggio, tutti i pregiudizi legati a questa strada e alla nostra terra, consapevoli che, solo mediante il contatto diretto è possibile calarsi nella quotidianità della Calabria».

Dunque, ancora una volta, all’interno di “Rivelazioni Calabre”, si è parlato di turismo sostenibile, di turismo esperienziale, nell’ottica della riscoperta di un territorio misconosciuto che può divenire meta di intensi flussi turistici per il suo alto potenziale, il cui valore è stato già intuito da molti giovani, come dimostrano gli interventi degli ospiti della rassegna, che non sono i rappresentanti delle uniche realtà presenti sul territorio regionale.

«Giungiamo alla chiusura del nostro evento soddisfatti – affermano Angela Rubino, presidente di “CulturAttiva” e Nicola Romeo Arena, alla guida di “Terre Ioniche” – certi di aver contribuito al movimento di rinascita del nostro territorio da vari punti di vista: quello della diffusione della conoscenza del nostro patrimonio storico-culturale; quello dello scambio di esperienze e punti di vista e infine lanciando il messaggio che si può fare tanto, semplicemente impegnandosi al massimo e credendo in ciò che si fa. È così che le nostre neonate associazioni si sono ritrovate a partire con un progetto ambizioso, portato a termine con successo. Ringraziamo sentitamente la Provincia di Catanzaro nella persona del presidente, Enzo Bruno e del direttore del Museo Marca, Rosetta Alberto e la Fondazione Rocco Guglielmo, per averci dato fiducia e aver creduto nella nostra idea ».

A”Rivelazioni Calabre” si parla della Calabria, che “regalò” al mondo la dieta mediterranea

Il pomeriggio del 27 gennaio al Marca, nella cornice di “Rivelazioni Calabre”, la rassegna culturale, che si compone di una mostra fotografica sui borghi della Calabria Ionica realizzata da Nicola Romeo Arena e Anna Rotundo e di vari eventi collaterali, promossa dalle associazioni “CulturAttiva” e “Terre Ioniche” con il contributo della Provincia di Catanzaro e della Fondazione Rocco Guglielmo, ha visto protagonisti Luigi Elia, biologo nutrizionista catanzarese autore del volume “Alimentazione e cibo nella Calabria popolare” (Biblioteka edizioni, 2014) e  Salvatore Mongiardo, intellettuale, filosofo e scrittore di fama internazionale e scolarca della Nuova Scuola Pitagorica. Quest’ultima è un sodalizio che vuole promuovere un nuovo stile di vita e di pensiero, ispirandosi al modello elaborato da Pitagora per vivere in armonia con se stessi, con gli altri e con la natura.

Nell’incontro di ieri si è dipinto il suggestivo affresco di una regione «che può rappresentare l’inizio di un nuovo cammino per il mondo intero, a partire dai suoi preziosi giacimenti culturali ed umani», come afferma Mongiardo.

«Pitagora fece lunghi viaggi che lo misero in contatto con le conoscenze diffuse in Asia, Medio Oriente, Egitto e Grecia – ha proseguito l’intellettuale- . Egli insegnò la dottrina dell’armonia, coniò il termine “filosofo”, l’amante della sapienza, e sviluppò il primo sistema razionale e sociale nella celeberrima Scuola Pitagorica di Crotone.

Quella Scuola era basata sull’amicizia e sulla giustizia sociale, principi sui quali Re Italo aveva fondato l’Italia nell’attuale Calabria intorno al 2000 a.C.».

Una terra, la Calabria, che ha sempre portato con sé tali concetti. Infatti, come evidenzia Elia nel suo libro, grande importanza assumeva nello stile di vita dei calabresi, l’elemento comunitario: «il cibo – si legge nella prefazione – che essi preparano e consumano, strettamente legato alla terra, è sempre pensato, preparato e consumato insieme, in una famiglia che si apre al vicinato e al paese intero».

«Un altro concetto che – secondo Mongiardo – esprime il legame tra la dottrina pitagorica e gli usi e costumi del popolo calabro nei secoli successivi è quello del carattere essenzialmente vegetariano dell’alimentazione. Elemento che  richiama i pitagorici di Crotone, i quali attribuirono valori sacri e salutari ad una dieta vegetariana e rispettosa della vita degli animali».

La relazione di Luigi Elia riguardo i contenuti del suo volume, ha offerto ai presenti un meraviglioso viaggio a ritroso nel tempo, fino all’epoca della Magna Grecia, alla scoperta delle abitudini alimentari del popolo calabro, mettendo in evidenza come le caratteristiche del modello alimentare dei paesi del bacino mediterraneo si distinguessero per la loro elevata salubrità. «Fu il nutrizionista italiano Lorenzo Piroddi il primo ad introdurre il concetto di dieta mediterranea, negli ultimi anni trenta del secolo scorso e a sottolineare questi concetti. In seguito grazie agli studi condotti dal nutrizionista e fisiologo Ancel Keys – ha spiegato Elia – tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, ci si accorse come le persone meno abbienti dei piccoli paesi del sud Italia, mangiatori di pane, cipolla e pomodoro, apparivano essere più sani sia dei cittadini di New York, sia dei loro stessi parenti emigrati anni prima negli Stati Uniti. Ancel Keys, dunque, cominciò a studiare in modo approfondito la dieta dei cittadini di Nicotera (piccolo comune della fascia tirrenica calabrese), che ben presto venne considerata “dieta mediterranea di riferimento”». Fattore che, secondo Mongiardo, sottolinea il carattere della Calabria come «terra che da e non che prende», se si considera che «la dieta mediterranea, la dieta dell’equilibrio e del benessere, è l’ultimo grande regalo che la Calabria fa al mondo».

Sempre nello spirito della condivisione e della non violenza contro gli animali, nel corso della serata si è svolto il rito della condivisione del “bue di pane”. Preparato per l’occasione da Marta Corasaniti, membro della Nuova Scuola Pitagorica, esso rappresenta il concetto che ci si può nutrire con gli elementi della natura in piena armonia con tutti gli esseri viventi, rifiutando il sacrificio degli animali.

Infine occorre fare un cenno alle ricette popolari recuperate dall’autore, che ha dedicato un’intera sezione del volume alle ricette popolari della tradizione calabrese e durante l’incontro ha citato ingredienti e metodi di preparazione di queste antiche pietanze.

 

 

 

A “Rivelazioni Calabre”si parla di seta e di nuove frontiere del turismo

La Calabria come meta delle nuove tendenze del turismo internazionale, che privilegiano le esperienze, la natura, la suggestione dell’identità storica alla classica vacanza in hotel o villaggio turistico con l’offerta dei classici servizi. Questo in sintesi è emerso nel corso dell’appuntamento di ieri, 26 gennaio, all’interno della rassegna “Rivelazioni Calabre”, promossa dalle associazioni Terre Ioniche e CulturAttiva, con il sostegno della Provincia di Catanzaro e della Fondazione Rocco Guglielmo e svolta al Museo Marca.

Ad aprire i lavori l’associazione cooperante di tour operators “Riviera e borghi degli angeli” che già nel territorio di Badolato sta mettendo in atto con successo un progetto di rete con un proprio micro-sistema di servizi locali, auto-organizzandosi dal basso. Storie di una Calabria che finalmente vuole risollevarsi e prendere in mano le redini del proprio futuro, basandosi sulle forze di chi sa riconoscere l’immenso valore delle sue bellezze. Guerino Nisticò, portavoce dell’associazione, nel descrivere il progetto che si configura come «un modello di ospitalità diffusa slow di “paese-albergo diffuso” e con pacchetti vacanza “autentici” pensati per allungare la classica stagione turistica balneare», ha sottolineato la necessità di creare un marchio turistico territoriale.«La nostra associazione – ha proseguito Nisticò – ambisce a condividere la propria esperienza nel territorio della “Riviera degli Angeli” abbracciando la fascia costiera e l’entroterra del basso ionio calabrese da Monasterace, Stilo e Bivongi fino a Squillace, Roccelletta di Borgia e San Floro. Urge ampliare questo progetto di rete – ha evidenziato – per un brand territoriale capace di organizzare ed offrire una seria web-identity internazionale, permeato omogeneamente delle bellezze paesaggistiche e naturalistiche e del patrimonio storico-artistico-culturale ed enogastronomico del basso ionio calabrese». Poi il portavoce di “Riviera e borghi degli angeli” ha sottolineato la necessità di «costruire un’offerta turistica integrata e diversificata con formule innovative di ecoturismo e di turismo esperienziale, culturale ed enogastronomico, capace di trovare il suo giusto spazio di nicchia nel variegato mercato turistico internazionale con l’obiettivo parallelo e graduale di trasformare il territorio in una accreditata, appetibile ed attendibile destinazione turistica».

Un modello, quello proposto dagli operatori di Badolato, che non può prescindere dal fondarsi sulle peculiarità del territorio di riferimento, le quali passano anche per la sua identità storico-culturale. “Nido di Seta”, la cooperativa operante a San Floro basa la sua azione sulla riscoperta dell’antica e nobile arte della seta e propone ai suoi visitatori una full immersion in uno stile di vita rurale che si riallaccia ad un passato storico fatto di fama ed eccellenza e legato alla lavorazione del prezioso filato serico. Una realtà, quella di San Floro che si basa sulla ripresa della filiera della gelsi bachicoltura, giungendo anche alla lavorazione del filato ottenuto, mediante le fasi di tessitura e tintura di semplici manufatti. Una sfida affrontata con coraggio e determinazione da tre giovanissimi ragazzi: Miriam Pugliese, Domenico Vivino e Giovanna Bagnato.

Una passione, quella dei ragazzi della Cooperativa, basata anche sulla piena consapevolezza dell’illustre passato che lega Catanzaro, città capoluogo, alla lavorazione della seta. Argomento trattato mediante la presentazione del volume “La seta a Catanzaro e Lione” di Angela Rubino (Rubbettino Editore, 2007), che descrive l’importanza di un’attività che per secoli fu alla base del benessere economico della città. «Catanzaro in un periodo compreso tra il 1300 e il 1700 fu l’indiscussa capitale europea della seta per la straordinaria qualità dei manufatti creati nelle sue filande, tanto preziosi da essere nominati negli atti notarili e testamentari subito dopo i gioielli. Il 1700 vide tramontare gli antichi fasti della nobil arte, ma essa rimase radicata nella vita dei catanzaresi fino al secolo scorso».

Ancora una volta, dunque, emerge il quadro di una regione ricca di peculiarità e fascino, una terra che “Rivelazioni Calabre” vuole raccontare nell’ottica di una riscoperta che vuole essere il punto d’inizio di un nuovo cammino.

 

 

Che valore ha il folklore in Calabria? La “scoperta” della “Ballata di San Nicola da Tolentino”

 

La Calabria stupisce ed affascina e i calabresi spesso la amano in silenzio, come se non volessero mostrare al mondo chi sono e da dove vengono. Nella nostra società sempre più globalizzata, si tende ad omologarsi più possibile e tutto ciò che è legato al folklore della nostra terra, spesso viene considerato come qualcosa di obsoleto a cui si prende parte in modo spontaneo, senza farsi domande sulle sue origini.

Non che la gente di Calabria non sia profondamente legata al territorio e ai propri costumi, ma troppo spesso non ha la capacità di riconoscerne fino in fondo l’altissimo valore.

Questa visione, a mio parere è strettamente legata al fatto che la nostra regione non sia ancora riuscita a fare del turismo culturale la sua principale risorsa economica.

Faccio questa premessa perché ultimamente mi capita spesso di venire a conoscenza di particolari della nostra cultura che a me appaiono di un fascino scintillante e non riesco a rassegnarmi al fatto che non ci siano orde di turisti curiosi ad assistere a celebrazioni, feste, processioni e tutto quello che attiene al retaggio della nostra cultura millenaria.

Inoltre trovo abbastanza pittoresco il fatto che io, come calabrese, debba scoprire per caso l’esistenza di consuetudini che si svolgono a due passi da me.

Ma qual è questa scoperta?

Siamo ad Albi, piccolo comune della presila catanzarese sorto intorno al XV secolo come casale della vicina Taverna, di cui seguì storia e vicende e rimasto tale fino al 1806, anno in cui divenne comune autonomo.

Nel 1570 nell’area del paesino veniva costruito il convento dei Padri Agostiniani della Congregazione di Zumpano, ai quali si deve la diffusione della conoscenza di San Nicola da Tolentino, la cui figura diverrà nei secoli a seguire molto importante per gli abitanti del borgo.

San Nicola nacque a Sant’Angelo in Pontano nel 1245 e ancora fanciullo entrò  nell’ordine gli Agostiniani della sua città. Dal momento in cui venne ordinato sacerdote nel 1269, fino 1277 dedicò la sua esistenza alla predicazione del Vangelo spostandosi di città in città. Nel 1275 si stabilì definitivamente a Tolentino ove morì il 10 settembre 1305. Il Santo, con la sua indole mite ed umile ed una vita da asceta e taumaturgo, riuscì a conquistare il cuore di devoti in ogni parte d’Italia e d’Europa. Con il suo volto di fanciullo, egli venne scelto come Patrono di Albi e ad egli gli albesi giurarono fede e devozione senza riserve. Quando in Calabria temibili catastrofi naturali seminarono lutti e rovine, si attribuì alla protezione del Santo il fatto che Albi non ne venne scalfita o fu danneggiata in minima parte.

È cosa comune, non solo in Calabria, la scelta di un Santo Patrono eletto protettore di un luogo, a cui dimostrare devozione; così come lo è l’usanza di portarlo in processione tra la gente.

Quest’ultima è una consuetudine che affonda le sue radici in tempi remoti e accomuna tutto il mondo cattolico, che a sua volta lo ereditò dagli ebrei (alcuni salmi accennano a un trasporto processionale dell’arca) e anche dai pagani. Presso i greci, ad esempio, in occasione delle famose “Panatee”, tutte le classi della città, in ben ordinato corteo, si recavano nel tempio a offrire un peplo ad Atena.

Nella liturgia cattolica – oggi come ieri – il rito consiste nella formazione di lunghi cortei che precedono o seguono un sacro simbolo: la croce, statue di santi, reliquie, stendardi. Le processioni cristiane sono strettamente collegate ad alcune festività. Se particolare importanza assumono quelle che si svolgono in occasione della Pasqua, non minore enfasi possiedono quelle in onore del Santo Patrono. Esse, solitamente, non assumono tratti particolarmente caratteristici, nel senso che sono tutte più o meno simili, ma in onore di San Nicola da Tolentino, il 10 settembre di ogni anno, viene messa in scena una processione molto molto particolare, ricca di pathos e di allegria.

Il Santo rimane in mezzo alla gente per sei ore, durante le quali visita ogni viuzza del borgo. Le strade sono parate a festa e il paesino è pervaso da un tripudio di emozioni, che vanno al di là del sentimento meramente religioso. Si tratta di amore per la propria comunità di appartenenza e per quei rituali che ormai fanno profondamente parte del vivere di ognuno. È un’emozione forte che non può non travolgere il visitatore che viene da fuori.

Il momento di grande intensità che caratterizza l’intera celebrazione è quello culminante. Al momento del rientro in chiesa, infatti, San Nicola si rifiuta di varcare la soglia del santuario. I portatori inscenano delle finte entrate per poi ritornare di corsa all’esterno e agitano la statua, dando l’impressione che San Nicola balli allegramente tra la gente che lo acclama a suon di musica. È un momento molto intenso durante il quale il Santo sembra quasi calarsi tra il suo popolo, mettendosi a giocare insieme a lui. San Nicola, divertito, sembra farsi beffa, in modo innocente, del sacerdote che attende il suo ritorno in chiesa. Tutto questo fa sì che il Santo esca da quell’immobilismo che sembra caratterizzare le altre processioni.

La “Ballata di San Nicola da Tolentino” è un affascinante rituale che si svolge da secoli non lontano da dove vivo e non ne avevo mai sentito parlare prima di qualche giorno fa. Nessuno tra i miei amici e conoscenti ha notizia di questa straordinaria manifestazione. La Calabria ha bisogno che la sua gente riconosca l’immenso valore dei suoi costumi, che vanno tramandati alle nuove generazioni e la cui conoscenza va diffusa in tutto il mondo, in modo da attrarre sempre più visitatori. Questi ultimi sapranno cogliere la magia della nostra civiltà più di quanto noi facciamo da innumerevoli generazioni. (Immagine tratta dal web)

Angela Rubino

 

 

 

 

 

“I Maccaturi”: quando arte, storia e folclore di Calabria affascinano ed ispirano artisti da tutto il mondo

 

L’ho chiamato “Contaminazioni” il mio contributo ad un progetto artistico coinvolgente ed emozionante, che affonda le sue radici nell’attaccamento alla terra di Calabria, ad un focolare fatto di affetti sinceri, di profumi, di atmosfere che segnano l’anima e da essa rinascono, in forma di ispirazione artistica. Il progetto si chiama “I Maccaturi” ed è stato promosso da Adele lo Feudo, pittrice e performer di origine calabra, residente a Perugia e da Gianni Termine, fotografo, anch’egli calabrese; entrambi portano la Calabria e i suoi scenari nel cuore e un bel giorno decidono di mettere in pratica ciascuno la propria arte, per creare qualcosa di unico. Il progetto consiste in una mostra e in un volume che da essa è scaturito. L’esposizione è composta da oltre 150 opere ed ha coinvolto circa 107 artisti provenienti da tutto il mondo.

L’idea è partita quando Gianni decide di donare ad Adele alcune sue foto. Lei, colta dall’ispirazione, le riproduce e le reinterpreta su dei pezzi di tessuto di seta grezza (forniti dalla Cooperativa “Nido di Seta”, che opera a San Floro e ha ripreso la filiera della gelsi bachicoltura), creando un racconto fatto di immagini, il cui epilogo è un richiamo alla speranza, legato al ricordo indelebile della propria terra e ai suoi affetti più cari.

Alla rete va il merito di aver diffuso abbondantemente la notizia di questa idea e ancora una volta Facebook diviene il mezzo attraverso il quale si crea una rete di centinaia di artisti che decidono di  aderire all’iniziativa, realizzando un proprio “maccaturo”, ognuno con la propria tecnica.

Il progetto scaturito da questo piccolo seme iniziale ha dato vita ad una mostra itinerante, che è partita da Catanzaro, dove è stata ospitata presso la deliziosa sede dell’associazione Mo.d’à e proseguirà in Calabria, toccando Cosenza e altre cittadine del comprensorio.  A fare gli onori di casa nel capoluogo la presidente Antonella Gentile, che ha curato l’organizzazione dell’evento. Durante la serata, la storia dei due artisti ideatori dell’iniziativa, introdotti dal critico d’arte Alessandra Primicerio; la lettura di una poesia dialettale; le parole di Adele e Gianni e poi l’intervento di Miriam Pugliese e Domenico Vivino, di “Nido di Seta”, che hanno eseguito la trattura del prezioso filato dal vivo, facendo rivivere un processo che per secoli ha segnato la vita dei calabresi; ha sintetizzato l’essenza della terra di Calabria, creando un magico connubio tra presente e passato.

L’eco dei profumi, delle atmosfere, delle voci, dei suoni della nostra infanzia in questa terra dell’estremo sud, rivive anche nei termini del nostro dialetto, che riportano in superficie antiche emozioni, spesso legate a chi non c’è più. Come Adele, anche io resto legata al pensiero di un grande affetto che mi lega a mia nonna, ai gesti abitudinari del suo vivere quotidiano, nel quale il “maccaturo” trovava quasi sempre una collocazione materiale, oltre che lessicale.

Il termine “maccaturo”, significa fazzoletto ed era molto utilizzato nel dialetto calabrese arcaico. Esso deriva dal catalano “mocador” ed è legato al latino “muccus” (muco). Oltre a soffiarsi il naso, esso era utilizzato come accessorio in molte occasioni, arrivando ad assumere la funzione di simbolo in varie situazioni.

Esso copriva il capo delle donne che andavano in campagna o in chiesa la domenica ed era nero quando simbolizzava lutto. Gli uomini asciugavano, con il loro maccaturo, il sudore delle dure giornate di lavoro nei campi o ne usavano uno abbastanza grande per avvolgere e contenere il pranzo da consumare durante la pausa.

Il maccaturo di colore azzurro si sventolava al porto, per salutare i propri cari che partivano per terre lontane in cerca di fortuna.

Al colore era legata la forte simbologia di un accessorio intimamente collegato al floclore della nostra terra e alle varie situazioni che scandivano i momenti di vita dei nostri avi.

Il bianco caratterizzava il momento del matrimonio, ma era anche legato ad usi casalinghi e proteggeva in caso di malattie. Poi, il rosso con tutte le sfumature di colore, fino al marrone chiaro, simbolizzava disponibilità nelle ragazze in cerca di marito. Al contrario, quelle già “impegnate” indossavano un fazzoletto di colore bianco sporco o grigio chiaro.

Il maccaturo di colore blu con le sue sfumature si usava per comunicare qualcosa o dare una risposta, mentre al verde era attribuita la simbologia della speranza.

Infine, quello di colore marrone era legato alla devozione per la Madonna del Carmine e si indossava il mercoledì, il giorno della novena e in occasione della festa del Carmine, abbinando un abito dello stesso colore.

Il progetto “I Maccaturi” ha una grande valenza non solo artistica, ma storica e antropologica. Esso ha saputo donare una connotazione artistica ad uno degli elementi chiave della storia del costume tradizionale e del folcolore calabrese, rendendolo strumento di libera espressione da parte di più di un centinaio di artisti, che, con le loro opere, hanno rivisitato un pezzo di storia della Calabria.

Inoltre va evidenziato il significato della scelta dell’artista Adele Lo Feudo, di dipingere sulla seta, tessuto preziosissimo e simbolo chiave della vita quotidiana dei calabresi, che ne fecero per alcuni periodi l’elemento principale del loro benessere economico.

La scelta inconsapevole del titolo “Contaminazioni”, per la mia opera si è rivelata quindi azzeccata. Dipinto su lino (un’altra fibra che veniva prodotta e tessuta dai contadini calabresi), con la sua mescolanza di materiali e colori, può essere visto come simbolo di questa meravigliosa commistione tra arte, storia, cultura che si esprime in chiave individuale, mettendo a confronto tecniche e anime diverse, ma affini per sensibilità.

Angela Rubino       

 

“Lamagara”, l’ultima “strega” di Calabria svela la sua storia nella cornice del castello normanno di Squillace

 

Scoprire, in una notte di mezza estate, che la Calabria è anche la terra da cui partì la prima decisione di abolire il reato di stregoneria nel Regno delle due Sicilie, mi fa capire che non smetterò mai di restare affascinata dalla sorprendente storia di questo luogo intriso di misteri.

Dal palco del Festival “Innesti Contemporanei”, che si è svolto dal 30 luglio al primo agosto nell’affascinante cornice del castello normanno di Squillace, Emanuela Bianchi, nei panni dell’ultima “magara”, ha rivelato la storia di Cecilia Faragò, uno straordinario racconto di coraggio e di caparbietà, di quelli che hanno avuto il potere di cambiare il corso della storia. L’esempio di vita di una persona che, per difendere la propria libertà, si è opposta ad un contesto molto difficile, fatto di pregiudizi, di obbedienza cieca a regole prestabilite e di rassegnazione.

Le vicende in questione si svolsero nel ‘700, a Zagarise, il paese in provincia di Catanzaro dove Cecilia nacque e Simeri Crichi, la località dello stesso comprensorio dove la donna visse da sposata.

Un destino difficile le strappò via marito e figlio e poi l’accusa di stregoneria la gettò in un vortice di violenza ed ingiustizie dal quale riuscì, in qualche modo, ad uscire vincitrice, visto che fu la protagonista dell’ultimo processo per stregoneria del Regno delle due Sicilie.

Fu la caparbietà del giovanissimo avvocato catanzarese Giuseppe Raffaelli          a determinare il primo passo verso questa vittoria. Egli , appena ventenne, credé nell’innocenza della donna e la fece assolvere, annullando tutte le prove fittizie presentate dall’accusa. È dalla memoria difensiva scritta in sua difesa che si è appresa la storia di Cecilia Faragò e il processo fece tanto scalpore da persuadere re Ferdinando IV ad abolire il reato di “Maleficium” nel suo regno.

La storia che l’antropologa, attrice e performer catanzarese Emanuela Bianchi ha voluto raccontare, calandosi nei panni della Faragò con il monologo teatrale “Lamagara”, scritto da lei e da Emilio Suraci, mette in luce la difficile condizione in cui le donne erano costrette a vivere, condannate ad un destino di sottomissione e di obbedienza assoluta alle regole di un sistema che le poneva in una posizione di netta inferiorità rispetto all’uomo. Cecilia viveva nell’epoca dell’Inquisizione, quando chiunque intralciasse la chiesa nel suo cammino di conquista del potere o di possedimenti, veniva eliminato. Trattandosi di una donna, per di più “libera”, senza status e incline a sfidare il potere e i canoni sociali, non fu affatto difficile accusarla di essere una strega e farla incarcerare incolpandola anche di omicidio.

La storia di Cecilia Faragò ha ispirato scrittori e registi (appena qualche mese fa si sono concluse le riprese del film su questa vicenda), la Bianchi lo ha messo in scena in modo straordinariamente originale, riuscendo anche ad aggiudicarsi il premio della critica “Gaiaitalia.com” al Fringe Festival di Roma.

Nel corso del monologo, l’attrice svela al pubblico l’animo del personaggio, una donna dai sentimenti puri, che rimasta senza affetti, vuole continuare ad occuparsi della sua fattoria, nel ricordo di ciò che era la sua vita passata. Durante questo racconto, gli spettatori sono portati a conoscere anche i lati “oscuri” di questo personaggio, ovvero l’uso di erbe curative, quelle pratiche, quei rituali ancestrali e poco consueti che la gente accettava solo nella misura in cui, di nascosto, poteva trarne beneficio, ma che poi non esitava a demonizzare.

Tutte le emozioni, la sofferenza, le paure di una donna privata di tutto ciò che le era rimasto solo perché “donna”, vengono portate in scena da una magnifica Emanuela Bianchi, che sembra fare suo il personaggio, rendendolo l’emblema non solo della condizione della donna, ma del diverso in generale, di colui che ha il coraggio di pensare ed agire diversamente rispetto al contesto in cui vive. Lo spettacolo è reso ancora più suggestivo ed unico dall’introduzione dell’uso scenico degli elastici, un momento performativo che contribuisce ad esternare meglio lo stato di disagio e sofferenza interiore del personaggio.

Dal palco, lo spettacolo riesce a trasmettere, senza mai annoiare, un profondo messaggio di riflessione su ciò che, di mostruoso, il pregiudizio verso le donne e la fame di potere e di ricchezza della Chiesa ha potuto generare in passato: milioni di donne furono torturate ed uccise in nome di accuse insensate.

 

Angela Rubino  

 

 

Tra arte, filosofia e misticismo, nell’agorà di Home for Creativity si riscoprono le orme di Gioacchino da Fiore

Una splendida e lodevole iniziativa che punta i riflettori su una Calabria culla di misticismo, arte e cultura nel senso più profondo. Fulcro dell’evento organizzato dalla giovane filosofa Roberta Caruso nella magica cornice della sua Home for Creativity, è la figura di Gioacchino da Fiore, che non solo è stata riscoperta ed esaltata nella sua grandezza e complessità, ma è stata condotta nel presente e messa a confronto con le suggestioni dell’arte moderna, quella di Vassily Kandinsky.

L’idea è quella di una conversazione in salotto, il tema è “Sulle orme di Gioacchino da Fiore”, la cornice, come abbiamo detto, è quella di Home for Creativity, l’impresa filosofica di Montalto Uffugo, che ha rivoluzionato l’idea dell’accoglienza, trasformando la casa in agorà e fulcro di dibattiti ed eventi atti principalmente a diffondere la consapevolezza del grande potenziale storico, artistico e culturale presente in Calabria. Iniziative che si svolgono all’insegna dell’originalità e della convivialità e con la partecipazione di ospiti straordinari. In questo caso la serata è stata composta da interventi che hanno introdotto la figura di Gioacchino da Fiore, ponendo l’accento sul carattere attuale del suo pensiero filosofico, altri ne hanno esaltato il lato artistico, anch’esso riconducibile alla contemporaneità ed altri hanno ripercorso il cammino dell’abate in Calabria. In particolare, Massimo Iritano, docente di filosofia e autore del libro edito nel 2015 da Rubbettino “Gioacchino da Fiore: attualità di un profeta sconfitto”, ha riproposto la figura e il pensiero dell’ abate al pubblico contemporaneo, mettendo in relazione la sua voce profetica con grandi autori del nostro tempo quali Walter Benjamin, Ernst Bloch, Sergio Quinzio e Karl Lowith.

Una figura poliedrica, quella di Gioacchino da Fiore, abate, teologo,  esegeta e filosofo che ha cambiato il volto della teologia medioevale. Fulcro della sua dottrina l’unità divina e la trinità, la concordia storica e il tempo futuro dello spirito. Visioni che nascono da un accurato studio delle scritture e che hanno dato vita anche a suggestivi modelli grafici contenuti nel suo Liber Figurarum. Tra tutti citiamo il Drago a sette teste e  I tre cerchi trinitari. Gioacchino scriveva, predicava e si dava penitenze. Componeva mosaici e forse faceva miracoli.

Una figura, quindi che non poteva non ispirare artisti ed intellettuali passati e contemporanei.

E il pubblico di Home for Creativity ha avuto un assaggio di questa contaminazione tra antichità e modernità sia con l’esposizione di  due arazzi di inestimabile valore, provenienti dall’atelier della Scuola tappeti Caruso di San Giovanni in Fiore, riproduzioni fedeli delle tavole “Albero Aquila” e “Draco Magnus et rufus” presenti nel Liber Figurarum del profeta calabrese; sia grazie alla straordinaria testimonianza di Fabiola Giancotti, ricercatrice, scrittrice, film maker, art curator ed editor, autrice di saggi e ricerche intorno all’arte russa e a quella europea del Novecento, regista del film “Gioacchino da Fiore e Vassily Kandinsky: lo spirito e l’astrazione”, che ha ripercorso le sfumature di significato e le impensabili analogie che intercorrono tra questi due grandi artisti di epoche diverse.

Ancora arte poi, con il suggestivo reading affidato alla maestria dell’attore Enzo de Liguoro, che ha interpretato dei brani tratti da alcune opere dell’abate. Ed infine un riferimento al territorio, con l’intervento dell’architetto e paesaggista Walter Fratto, che ha ripercorso il cammino dell’abate, facendo rifermento a delle immagini che ritraevano luoghi e situazioni visitati e vissuti per arrivare a definire la prima edizione delle Camminate Gioachimite del 2015. In seguito, Eugenio Attanasio, regista del docufilm “Il cammino di Gioacchino” ha descritto il suo lavoro incentrato sulla figura dell’abate e Alfredo Granata, artista visivo di Celico, ha offerto una visione dei luoghi che diedero i natali all’abate, che oggi ospitano comunità di artisti contemporanei.

Insomma, un meraviglioso viaggio sulle orme del misticismo, della spiritualità e della ricerca artistica, tra presente e passato in una cornice davvero unica. Segni di una Calabria che sta rinascendo e sta riacquistando il suo carattere di terra dalla forte connotazione artistica e culturale, fucina di menti dal grande genio che seppero fare scuola attraverso i millenni. Tutte premesse più che valide per costruire il futuro della nostra regione. Futuro inteso non come parola astratta e lontana dall’oggi, ma come momento attuale in cui iniziare ad agire, proprio come sta accadendo ad Home for Creativity. (L’immagine è stata scattata da Walter Fratto).

Angela Rubino

“Eretico Tour”, da Amantea parte l’imponente ondata di spirito di rivalsa che si riappropria della Calabria

Una giornata piovosa e ricca di sorprese quella di sabato 16 gennaio. Una giornata che grazie all’Eretico Tour, partito dall’hotel “La Tonnara” di Amantea, rimarrà nella mente e nel cuore di quanti, come me hanno preso parte all’evento, facendo di tutto per esserci.

La partenza dell’iniziativa, ideata dal blog Ereticamente, mi emozionava e non volevo mancare assolutamente, certa che sarebbe stata l’ennesima occasione (da quando frequento gli imprenditori eretici) per respirare quell’atmosfera intrisa di energia positiva, che tanto giova al percorso che ho intrapreso e voglio implementare.

Non avrei mai creduto che la convocazione per un nuovo incarico lavorativo avrebbe potuto sconvolgere l’organizzazione logistica di quella giornata, ma così è stato. La chiamata per una supplenza in un liceo, ha rischiato di far saltare il mio appuntamento, ma per fortuna non è successo e, grazie all’aiuto degli eretici, ho potuto sedere anche io in platea.

Il piacere di aver ottenuto un lavoro ben retribuito che durerà per i prossimi cinque mesi, non ha scalfito nemmeno lontanamente la gioia di entrare in sala e incrociare gli sguardi di persone amiche e quelli di altre, tutte da scoprire. Quelle storie, quelle immagini proiettate al maxi schermo, quelle frasi intrise di emozione, forza e determinazione, pronunciate in quella sala, mi hanno fatto sentire subito a casa e mi hanno caricata di una grande energia e voglia di fare, più di qualunque contratto stipulato con un ente qualsiasi, che molto spesso è sinonimo di un lavoro che non senti pienamente tuo.

Spesso, questi contratti ti rubano la vita, ti gettano in un sistema sterile, che si serve di te finché ne ha bisogno e poi ti getta in una sorta di limbo, rendendoti depresso e convinto di non valere mai abbastanza.

Essere un imprenditore eretico, significa essere padrone del proprio destino e delle proprie scelte, a partire dal luogo in cui si sceglie di vivere. Per tutti noi, che abbiamo vissuto l’esperienza di Amantea, la scelta è ricaduta sulla Calabria, la terra che tutti portiamo nel cuore e sulla quale finora si è scommesso troppo di rado.

Coordinati da Massimiliano Capalbo, ideatore dell’iniziativa, co-fondatore di Orme nel Parco e autore del fortunato volume “La terra dei recinti”, gli interventi degli imprenditori eretici si sono protratti per tutta la mattinata, tenendo incollato alle sedie un pubblico attento ed emozionato. Denominatore comune delle loro relazioni, la ferma convinzione di trovarsi in una terra che ha tutte le carte in regola per essere la culla del loro futuro. Non in termini romantici, come qualcuno può pensare, ma concretamente, come luogo su cui investire le proprie energie per ricavarne di che vivere.

Stefano Caccavari, con la storia del suo Orto di Famiglia è stato il primo imprenditore eretico a prendere la parola. Dopo di lui,  Nadia Gambilongo ha parlato dell’importanza del rispetto degli spazi urbani, che lei, con l’associazione I Giardini di Eva, contribuisce a valorizzare facendosi istituzione. Una storia di amore e rispetto per l’ambiente è stata anche quella raccontata da Lucia Parise, dell’associazione Erbanetta, reduce dalla straordinaria esperienza di “Ambientiamoci”, l’iniziativa che nel dicembre scorso, ha acceso i riflettori sulla salvaguardia e la valorizzazione della Grotta delle Palazze di Mendicino. Ivan Arella, dell’associazione “La Piazza”, ha invece parlato del Cleto Festival, il magico evento che, con finanziamenti propri, ha riportato in vita il suggestivo borgo di Cleto, facendolo brillare di una luce nuova, attraverso un ricco calendario di eventi culturali ed artistici che si svolgono nel mese di agosto. Una vera e propria sfida che è divenuta ormai un appuntamento di rilievo nel panorama culturale calabrese. E di sfida parliamo anche quando ci riferiamo all’eresia di Deborah De Rose, che da giovane avvocato è divenuta un punto di riferimento concreto per artisti, creativi e per tutti coloro che vogliono mettere in campo il proprio saper fare, con il suo spazio “Interazioni Creative”, che ha sede a Cosenza. Il mosaico di luci che ha dato l’avvio all’ Eretico Tour si è composto anche della tessera luminosa di Home For Creativity, il rivoluzionario progetto di accoglienza ideato da Roberta Caruso, che a Montalto Uffugo, fa accoglienza basandosi sui principi della share economy. Ancora un altro suggestivo borgo calabro è stato rubato alla desolazione dello spopolamento, grazie al progetto eretico di Rosa Maria Limardi, che ha descritto la sua idea “Jacurso da vivere e imparare”, grazie alla quale, da anni riesce a promuovere i valori, le tradizioni e la storia di quei luoghi, trasformandole in valore. Una storia che ricorda quella di Nido di Seta, la cooperativa agricola attiva non molto lontano, nel piccolo agglomerato di San Floro, dove Domenico Vivino e Miriam Pugliese hanno fatto rifiorire l’antica arte della seta, un tempo alla base dell’economia dell’intera regione, trasformando in valore un mondo fatto di tradizioni e pratiche lavorative ancestrali legate al nostro millenario passato.

Sembrerebbe tutto qui, ma così non è. Gli eretici che hanno preso la parola durante la mattinata, sono solo una piccola parte di tutti quelli nascosti nei meandri di questa splendida terra di Calabria. Ne è riprova il fatto che tanti di loro sono emersi nel pomeriggio. Alcuni con storie di percorsi concreti già intrapresi, e altri con racconti di progetti altrettanto meravigliosi che sono in itinere e lì, tra menti affini ed animi tenaci, hanno trovato quella spinta in più che serve per far fronte all’asprezza di un tessuto sociale fatto di diffidenza e luoghi comuni che parlano di atavica apatia.

Ostacoli che il cammino in Calabria porta con sé, ma che, sono sicura, non riusciranno a fermare l’imponente ondata di spirito di rivalsa rappresentata da questi eretici.

Angela Rubino

 

 

 

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