La Calabria, quel lembo di terra che si protende a sud della penisola italiana, quasi a volersene distaccare per avvicinarsi ad altri mondi, ad altre civiltà, è ancora oggi un territorio in gran parte inesplorato, culla di antiche tradizioni che sono il retaggio del suo millenario passato. Tra queste assumono particolare importanza i riti e le celebrazioni legati alla Pasqua e al periodo che la precede.

I rituali religiosi sono sempre stati molto radicati nella gente di Calabria, anche quando essi avevano connotazione pagana. La Corajisima ne è un esempio.

Si tratta di una curiosa bambola di pezza che faceva la sua comparsa sugli usci delle case dei borghi calabri il giorno della morte di Re Carnevale (il mercoledì delle ceneri). Identificata dalla tradizione come moglie o sorella di Carnevale, la Corajisima, che oggi sta tornando in voga, rappresenta l’austerità dopo i bagordi carnevaleschi e l’inizio del periodo di quaresima che precede la Santa Pasqua.

La bambolina veniva confezionata in casa ed era composta da un frutto (limone, arancia)  oppure una patata, nella quale veniva conficcato un bastoncino di legno sul quale poi si costruiva la pupazzetta, dandole le sembianza di una signora con un lungo vestito nero, rosso oppure con abito nuziale e con in mano un fuso con del filo a simboleggiare il passare del tempo e al collo una collana fatta di fichi secchi, uva passa o pezzetti di guanciale, aglio o peperoncino, come simbolo di astinenza dai piaceri carnali. Nel frutto venivano conficcate anche sette piume di gallina, tra le quali una doveva avere un colore diverso. Le piume erano tante quante le settimane di quaresima ed ogni domenica si provvedeva a tirarne fuori una dal frutto, lasciando per ultima quella di colore diverso. Le piume venivano disposte in senso circolare e rappresentavano una sorta di calendario, segnando il periodo in cui le donne dovevano astenersi dai rapporti intimi, un fattore che nella simbologia della bambola era richiamato dal frutto, che rappresentava l’organo femminile.

Lungo tutto il periodo di Quaresima era anche inopportuno curare il proprio aspetto, rassettare la propria casa e cucinare in modo elaborato. Fattori che in qualche modo potevano “indurre in tentazione”.

Dopo la Domenica delle Palme e quindi all’inizio della Settimana Santa, la Corajisima scompariva, per poi tornare il giorno della Santa Pasqua, quando veniva estirpata l’ultima piuma (quella di colore diverso) e poi periva nel fuoco del camino, lasciando come ricordo il profumo del frutto su cui poggiava. Un rituale che serviva a scacciare gli spiriti maligni.

I rituali legati alla Pasqua sono sinonimo di suggestione, essendo essi molto sentiti, non solo in Calabria, ma in tutto il sud Italia. La passione e la morte di Gesù evoca un grande pathos, che trova espressione in una serie di manifestazioni e celebrazioni che riescono a coinvolgere e ad emozionare anche chi non pratica la religione cristiana. Il profondo rispetto per la sofferenza e la morte, che trova espressione nell’astinenza da qualsiasi tipo di piacere, per poi trovare sbocco in una celebrazione della vita sulla morte è un concetto universale, che si lega anche al ciclo della natura, così come accadeva al tempo della Magna Grecia, quando si osservavano i rituali pagani legati al ciclo delle stagioni e al risveglio della natura con l’arrivo della primavera la rinascita di Persèfone (o Proserpina per i romani). La Corajisima sarebbe proprio l’espressione di quel periodo precario che precede la rinascita della natura e il simbolo della sobrietà con cui affrontarlo e viverlo prima di tornare a rinascere. (Foto tratta dal web)

Fonte: https://www.calabriadascoprire.it/riti-di-pasqua-in-calabria-la-corajisima-della-quaresima/

Angela Rubino