È normalissimo oltre che doveroso organizzare delle iniziative culturali volte a mettere in luce il genio di artisti ed intellettuali. È esattamente quello che ho pensato quando mi hanno contattata da Polistena, cittadina che diede i natali al famoso scultore e pittore calabrese Francesco Jerace, per parlare del noto e celebrato artista insieme ad altri illustri relatori. Cosa che ho fatto con estremo piacere, onorata di sedere a quel tavolo, da dove si levavano, fiere, delle voci che celebravano uno dei tesori della nostra Calabria.
Il merito di aver organizzato in modo eccellente l’evento, che si è svolto sabato 13 febbraio nell’aula magna dell’Istituto Tecnico Industriale di Polistena, è della Pro Loco, nelle persone del presidente, Luigi Ciardullo; del consigliere, Pietro Paolo Cullari, che si sono avvalsi della preziosa collaborazione della storica dell’arte Paola Suppa. La serata, che si è potuta realizzare anche grazie al sostegno della Provincia di Reggio Calabria e dell’Unpli, presieduta da Massimo Cogliandro, ha visto intervenire, oltre che me e la storica dell’arte Paola Suppa, anche lo storico e critico d’arte Gianluca Covelli e il fotografo Silvio Russino, giovane e talentuoso autore della mostra dal titolo “Sguardi su Francesco Jerace” , esposta in modo permanente presso il Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore a Napoli.
Come tutte le volte che sono chiamata a parlare in pubblico, l’emozione era tanta, ma non abbastanza da non farmi intuire che tutti noi eravamo lì, non solo per celebrare le opere e la carriera artistica di uno scultore geniale a cui Polistena ha dato i natali, ma per convincere il pubblico e della sua grandezza.
Ebbene si, se un artista nasce in Calabria e poi gira il mondo, raccogliendo consensi e conferme del suo prestigio, sarà il mondo a rendergliene merito, non la sua terra natia, non i suoi conterranei, per i quali, automaticamente i tesori e le meraviglie si trovano fuori dai confini del “tacco dello stivale”.
Questo atteggiamento non è certo una novità. Tuttavia, ogni volta che lo percepisco rimango sbalordita, quasi incredula. Mi è successo anche in questa occasione, forse perché ero convinta (chissà perché mai) di trovare un pubblico “innamorato” a priori di Francesco Jerace, un figlio di Polistena ricoperto di onori in tutto il mondo per il suo genio artistico. Ero persino timorosa di commettere degli errori e delle dimenticanze che il pubblico avrebbe notato, data la profonda conoscenza dell’argomento.
Ebbene, non era affatto così. A Polistena, Jerace è sicuramente noto, ma non c’è la profonda percezione del suo genio, se non da parte di un gruppo di “illuminati”, di cui fanno parte la Pro Loco e il suo entourage e da cui resterebbe esclusa anche l’amministrazione comunale. Lo scarso interesse del Comune di Polistena per la figura di Francesco Jerace è emerso anche dagli interventi di un discendente dello scultore, animato da un forte rimpianto.
Tutto questo ha dell’incredibile! Pensate, è come se Firenze non riconoscesse i suoi meriti a Dante Alighieri!
Il paragone non è un azzardo. Infatti quando parliamo di Jerace, ci riferiamo ad uno degli artisti più noti e celebrati della fine del secolo decimono e del primo trentennio del successivo. Un artista che seppe elaborare una linea compositiva e stilistica dai tratti originalissimi, mescolando gli echi della scultura classica e il realismo appreso a Napoli, in un rapporto di grande equilibrio.
Non fu di certo un caso se all’esposizione nazionale di Torino, nel 1880, la sua “Victa” vinse un premio di 3000 lire e l’immediata prenotazione di numerose repliche. E non fu sicuramente un colpo di fortuna l’eminente riconoscimento con medaglia d’oro conferitogli a Melbourne nel 1880.
Nel 1891, poi per il nostro conterraneo, giungeva l’invito a far parte della commissione permanente di Belle Arti del ministero della Pubblica Istruzione, un episodio che testimoniava il pieno riconoscimento del prestigio dell’artista. Infine sottolineo il fatto che la Biennale di Venezia, nel 1909, dedicò a Jerace una sala personale nella quale l’artista calabrese espose quindici sculture e sei fra dipinti e disegni.
Per fortuna, gli addetti ai lavori conoscono bene la valenza del genio artistico di Jerace, come hanno dimostrato gli interventi di Covelli e Suppa. Quindi il nome dello scultore si fa strada negli ambienti accademici, divenendo oggetto di studio e di approfondimenti critici. E per fortuna si va anche oltre, visto che le caratteristiche del suo genio creativo, molto attento ai particolari, hanno conquistato Silvio Russino, tanto da far ricadere la sua scelta proprio su Jerace, nella realizzazione del suo reportage. Un lavoro che emoziona e stupisce, per la tecnica innovativa impiegata e anche perché trasmette tutta l’ammirazione del fotografo verso lo scultore.
Nel 1909 Jerace scriveva: « Patisco d’amor patrio, soffro di sentimentalità per il glorioso nostro passato, mi cruccio dell’abbandono in cui siamo caduti e tenuti… e specialmente cerco di far apparire nobile, grande e bella la nostra Calabria, anche quando è giustamente accusata».
E come potremmo non accusare noi stessi di non saper riconoscere il bello da cui siamo circondati e a cui non sappiamo dare valore.
Angela Rubino
27 febbraio 2016 at 21:39
il calabrese da sempre è malato di esterofilia, pronto a celebrare artisti/paesaggi/costumi di altri luoghi e dimentico delle bellezze di casa propria. un altro artista calabrese di cui si parla poco è enotrio pugliese
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28 febbraio 2016 at 11:08
Purtroppo è proprio così 😦
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